A partire dall’estate del 1532 Giorgio Vasari entra a far parte della cerchia medicea di Alessandro de’ Medici, vivendo così la sua prima vera esperienza di corte che purtroppo si concluderà nel 1537 con l’assassinio del duca fiorentino.
Rispetto all’opera del Magnifico (https://www.trepassiperfirenze.com/post/tre-membri-della-famiglia-alla-medici-agli-uffizi), la situazione è completamente diversa in quanto il ritratto di Alessandro de' Medici è un dipinto dal naturale, anche se Vasari crea comunque la sua invenzione.
Una delle ipotesi più avvalorate è che il ritratto entrò fin da subito a far parte delle stanze della casata medicea, inizialmente a Palazzo Medici Riccardi, per volere di Ottaviano de’ Medici. In realtà il primo documento ufficiale che lo cita è l’inventario della Galleria degli Uffizi del 1638-1654 dove viene registrato un quadro del Duca Alessandro armato, ma senza l’apposizione del nome dell’artista che lo aveva realizzato. Solo nel Settecento il dipinto inizia ad essere attribuito a Giorgio Vasari da Pelli, importante studioso che riuscì ad amministrare il patrimonio mediceo-lorenese durante il suo direttorato alla Galleria degli Uffizi dal 1775 al 1793, che riesce a metterlo in relazione con la lettera ad Ottaviano de’ Medici.
Abbiamo varie testimonianze e descrizioni di questo dipinto scritte dallo stesso Giorgio Vasari che tratteremo singolarmente: una di queste la possiamo riscontrare nel Libro delle Ricordanze, redatto dall’aretino nella sua tarda età, un’altra in una lettera destinata ad Ottaviano de’ Medici ed inoltre un’ulteriore descrizione nella autobiografia di Vasari nel libro delle Vite.
Nel Libro delle Ricordanze troviamo la seguente annotazione dell’artista, nella quale specifica il giorno di inizio di lavorazione dell’opera:
ricordo come a dì 8 di gennaio 1534 messer Ottaviano de’ Medici, depositario dello Illustrissimo Duca di Fiorenza Alessandro de’ Medici, mi fé fare il ritratto di esso Duca armato a sedere in un quadro dipinto a olio con molti ornamenti atorno, il quale fu cominciato questo dì
In realtà il volume non rappresenta un documento contabile e la sua composizione si deve allo stesso artista in tarda età basandosi su documenti, appunti, ricordi e libri di contabilità che lui stesso teneva. Dopo uno studio approfondito è emerso che numerose sono state le errate trascrizioni dell’artista, pertanto non risulta affidabile, infatti, molte sono le incongruità che riscontriamo con gli altri documenti redatti dallo stesso Vasari.
Si può riscontrare il primo dubbio in relazione alla commissione dell’opera perché se nella autobiografia vasariana delle Vite l’aretino cita il dipinto come dono al duca che solo in un secondo momento Alessandro avrebbe ceduto ad Ottaviano de’ Medici, nella lettera che Vasari scriverà ad Antonio Turini nel 1534, l’artista cita di «avere satisfatto al presente il duca Alessandro d’un suo ritratto». Si tratta, quindi, di una commissione ambigua perché non sappiamo se il duca volesse un suo ritratto o se si trattasse di un omaggio del pittore, ma l’ipotesi più avvalorata è la commissione da parte di Ottaviano de’ Medici per il suo progetto di esaltazione della dinastia medicea.
Una descrizione dell’opera la possiamo ritrovare nell’edizione Giuntina delle Vite:
Feci adunque, in un quadro alto tre braccia, esso duca Alessandro, armato e ritratto di naturale, con nuova invenzione, e un sedere fatto di prigioni legati insieme e con altre fantasie. E mi ricorda che oltre al ritratto, il quale somigliava, per far il brunito di quell'arme bianco, lucido e proprio, che io vi ebbi poco meno che a perdere il cervello, cotanto mi affaticai in ritrarre dal vero ogni minuzia. Ma disperato di potere in questa opera accostarmi al vero, menai Iacopo da Puntormo, il quale io per la sua molta virtù osservava, a vedere l'opera e consigliarmi; il quale, veduto il quadro e conosciuta la mia passione, mi disse amorevolmente: “Figliuol mio, insino a che queste arme vere e lustranti stanno a canto a questo quadro, le tue ti parranno sempre dipinte, perciò che, se bene la biacca è il più fiero colore che adoperi l'arte, e' nondimeno più fiero e lustrante è il ferro. Togli via le vere, e vedrai poi che non sono le tue finte armi così cattiva cosa come le tieni” .
Risulta di grande interesse il commento di Pontormo, la volontà di Vasari di farsi consigliare da un suo collega più anziano e che stima, l’attenzione dell’aretino per la mimesis e per la ricerca calligrafica dei dettagli. Il commento di Pontormo è funzionale ad una non troppo velata glorificazione del pittore e della sua opera, con un palese intento autocelebrativo.
Una ulteriore descrizione dell’opera la troviamo nella lettera che l’artista aveva inviato ad Ottaviano de’ Medici.
Innanzitutto possiamo riscontrare che in entrambe le lettere non vi è alcuna trascrizione di data, ma essa è riportata solo nel libro delle Ricordanze, pertanto, vista la poca affidabilità dell’opera, tutt’oggi la datazione dell’opera risulta. incerta.
Un elemento che ci può aiutare nella sua datazione lo riscontriamo nella lettera per Ottaviano de’ Medici, la quale cita «popoli instabili sono legati e firmi per il castello fatto» alludendo alla Fortezza da Basso, la quale fu iniziata nel 1533 e terminata nel 1535, pertanto l’opera deve collocarsi posteriormente a quest’ultima datazione.
Tralasciando, quindi, la corretta datazione dell’opera ciò che risulta visibile di questo dipinto è il Duca Alessandro de’ Medici vestito con un’armatura scintillante descritta in maniera meticolosa, ricca di riflessi e decorazioni argentate e dorate, seduto di profilo con un bastone dorato tra le mani. Il Duca è rivolto con lo sguardo verso destra dove appare, quasi come una breccia all’interno delle mura della città, una chiara immagine di Firenze, infatti risultano intuibili gli edifici pubblici più importanti come la cupola del Duomo, Palazzo dei Priori (attuale Palazzo Vecchio), la Badia ed il Bargello. Dietro il Duca, appena visibili dall’oscurità dello sfondo compaiono una colonna ed un tronco di albero, mentre in basso a sinistra un elmo che emette fiamme, simbolo generico di pace o per essere più precisi di ex bello pace.
Analizzando l’opera innanzitutto troviamo numerosi elementi descrittivi introdotti dall’artista che in realtà sono dei simboli, i quali hanno un significato specifico: le armi dimostrano che il duca è pronto a difendersi mentre si trova seduto su una poltrona decorata da volti umani che simboleggiano i popoli sotto la direzione di Alessandro. Il drappo rosso, invece, rappresenta il sangue e la crudeltà collegati all'assalto avvenuto nel 1530, evento ribadito anche nelle rovine sullo sfondo dietro il duca, le quali dimostrano un ritorno al sereno grazie al cielo che sta nuovamente tornando limpido come significato di pace e prosperità.
Esaminando a fondo la lettera che Vasari aveva inviato ad Ottaviano de’ Medici troviamo una descrizione ancora più meticolosa dell’opera che permette di comprendere al meglio i simboli sopra menzionati. Innanzitutto Campbell sostiene che Vasari scrisse la lettera solo in un secondo momento quando il dipinto non si trovava più nell’atelier dell’artista, ma direttamente nell’appartamento mediceo in quanto alcuni dettagli da lui trattati non sono riscontrabili sul dipinto; ad esempio cita «una rovina di colonne e di edifizii» dietro il Duca, ma in realtà vi è rappresentata solo una colonna, quindi era molto probabile che si rifacesse a degli schizzi. Sempre seguendo il pensiero di Campbell di fondamentale importanza era il collegamento tra dipinto e l’epitaffio nella cornice, oggi purtroppo andata perduta. Secondo lo studioso l’opera dovremmo leggerla da sinistra verso destra in quanto solo così si passa da una lettura dal passato a una lettura del presente, infatti i resti alle spalle di Alessandro rappresenterebbero l’assedio della città del 1530, quindi evento passato, mentre la città di Firenze quieta e serena vista attraverso un’apertura delle mura sotto lo sguardo attendo del Duca rappresenterebbe il presente. Proprio il termine Quietus fu di grande importanza per il motto personale di Alessandro e lo si riscontra nel 1534 quando Domenico di Polo coniò una medaglia con raffigurato il profilo del Duca sul recto e una Pace seduta che brucia delle armi con la scritta Fudator Quietus sul verso.
Altro aspetto fondamentale è la seduta tonda, la quale riprende l’idea del cerchio come simbolo dell’infinito quindi allegoria che il suo regno durerà in eterno, decorata con telamoni senza armi e con piede a zampa di leone. Vasari li descrive come il popolo fiorentino, ma in realtà sarebbe più corretto interpretarli come i nemici sconfitti e quindi come simbolo della vittoria. Ultimo dettaglio è il Broncone mediceo usato come simbolo di rinnovamento e già utilizzato dai predecessori di Alessandro, primo fra tutti Piero il Gottoso. L’allusione esplicita del ritorno all’età dell’oro è data dalle foglie che crescono dal Broncone secco.
Continuando ad analizzare il dipinto possiamo riscontrare molte opere dalle quali Vasari trasse ispirazione.
Primo fra tutti è la posa del Duca, la quale rappresenta un chiaro richiamo alla scultura di Giuliano duca di Nemours ad opera di Michelangelo per la Sagrestia Nuova in San Lorenzo. Vasari pare che trasse ispirazione non quando l’opera era già posizionata nella nicchia, ma quando si trovava ancora sul suolo ed è chiaro l’intento di imitazione del contrapposto michelangiolesco che Vasari stesso cercò di realizzare utilizzando il chiaroscuro . L’aretino sembra che osservò le statue mentre Michelangelo si trovava temporaneamente a Roma, pertanto pare che confuse le due figure di Giuliano e Lorenzo de’ Medici traendo ispirazione dal padre dell’odiato Ippolito, Giuliano de’ Medici, e non dal meditativo Lorenzo, figura più adatta per un riferimento familiare appropriato . Altro richiamo al Buonarroti lo troviamo anche nella forma del sedile, il quale è a sua volta ispirato ai classici sedili senza spalliera o braccioli che vengono immortalati nei sarcofagi romani.
Altro dettaglio su cui è necessario soffermarsi è l’elmo infuocato alla destra di Alessandro, il quale pare trarre ispirazione da uno degli Emblemata di Andrea Alciato che mostra la nascita della pace dalla guerra. Il riferimento al giurista lombardo si è ipotizzato che potesse essere stato opera di Paolo Giovio, il quale aveva sviluppato una forte amicizia con Alciato.
Numerosi studi hanno inoltre dimostrato che fino a quel momento i ritratti a figura intera erano rari, infatti, se ne conosce soltanto un esempio ovvero il ritratto del Duca Federigo da Montefeltro e suo figlio Guidobaldo attribuito a Berruguete o Giusto di Gand databile al 1476 circa. Entrambi sono seduti di profilo indossando un’armatura e con un elmo sul suolo. È chiara una forte analogia tra le due opere, come è chiara l’influenza della pittura veneziana soprattutto nella figura di Tiziano per l’utilizzo del colore brillante, del chiaroscuro e del paesaggio.
Una ulteriore considerazione per comprendere al meglio dove Vasari abbia tratto ispirazione per la realizzazione dell’opera la riscontriamo nella scultura in cera colorata del Duca Alessandro, ad opera di Giovanni Montorsoli, come ex voto nella Chiesa di Santissima Annunziata.
Non abbiamo notizie certe sulla datazione della scultura, ormai perduta, ma se la cronologia vasariana risulta corretta si potrebbe collocare cronologicamente dopo la morte di Papa Clemente VII, il 25 settembre 1534, quindi pare evidente che sia il ritratto che la scultura in questione siano stati realizzati in tempi contemporanei tra di loro.
Un altro aspetto su cui è necessario un approfondimento è l’armatura. L’intento del Vasari era quello di rappresentare un ritratto ufficiale del Duca, pertanto anche l’armatura doveva avere la sua importanza, e nella sua autobiografia specifica che si trattasse di corazza tratta dal vero. Come riporta Campbell, secondo lo studioso Forster, invece, si trattava di un tipo di vestizione chiamata massimiliano, tipica del tardo Quattrocento, ma questa affermazione viene smentita dal fatto che quel genere di armatura era molto pesante, mentre invece quella ritratta da Vasari permetteva una mobilità maggiore perché formata da pezzi leggeri. Non si trattava neanche dell’armatura da giostra, in quanto anche quella era eccessivamente e pare non si trattasse neanche di una corazza tipica dell’epoca poiché erano tutte decorate da liste incise, invece quelle dipinte sono lisce. Probabilmente, quindi, Vasari non trae ispirazione dal vero, come descrive nelle Vite, ma crea un’allusione ad un’armatura tradizionale traendo ispirazione dai dipinti che si trovano all’interno del Duomo di Firenze di Paolo Uccello ed Andrea del Castagno.
Molti sono gli studiosi che si sono cimentati nell’analizzare l’opera considerandola, nella maggior parte dei casi, uno dei più importanti ritratti politici della casata medicea, pertanto, come riporta Campbell, lo studioso Leo Steinberg sostiene che la posa ieratica, fredda ed eccessivamente carica di simboli e significati di autorità è del tutto giustificata vista l’entità del quadro.
Campbell continua dichiarando che sarà un altro studioso, Kurt Forster , che eleverà l’importanza del dipinto dichiarandolo il punto di partenza di rappresentazione di membri viventi della casata medicea dopo il 1532, in quanto da quel momento si vuole dimostrare la discendenza della stirpe e il ruolo del governo.
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